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Espropriazioni e calcolo delle indennità



Da oltre vent'anni  la nostra professionalità  al servizio della determinazione dell'indennità  di occupazione e di espropriazione.

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La determinazione della misura o del quantum dell'indennità  di espropriazione assieme all'istituto pretorio dell'occupazione acquisitiva è uno degli aspetti più tormentati e controversi della materia espropriativa.

Un lunghissimo percorso legislativo ha solo di recente trovato una definitiva conclusione nel quadro normativo disegnato e imposto dal vigente Testo Unico.

La legge n. 2359/1865 prevedeva che l'indennità  fosse commisurata al giusto prezzo, ossia al valore che, secondo i tecnici, l'immobile avrebbe potuto avere nel contesto di una libera contrattazione di compravendita (c.d. valore venale o valore di mercato o valore in comune commercio). La legge perseguiva la massima soddisfazione possibile concessa all'espropriato per la perdita del diritto di proprietà.

Parallelamente occorre evidenziare che anche l'articolo 834 del codice civile, in relazione all'espropriazione per pubblica utilità , parla di giusta indennità .

Negli anni successivi alcune leggi speciali hanno derogato al valore di mercato del bene. Tra queste occorre ricordare la legge sul risanamento della città  di Napoli (legge n. 2892/1885) approvata, come noto, in seguito all'epidemia di colera verificatasi nell'anno 1884.

L'articolo 13 di questa legge stabiliva e introduceva un nuovo criterio di calcolo, ovvero la media tra il valore venale e il coacervo dei fitti dell'ultimo decennio risultanti da atti aventi data certa [trattasi di una metodologia di calcolo meno vantaggiosa rispetto al valore venale].

Il quadro legislativo che ha, di recente, maggiormente inciso sul procedimento espropriativo è senza alcun dubbio la legge per la casa [legge n. 865/1971, modificata e integrata dalla legge n. 10/1977].

La legge per la casa impose, per le procedure ablative da compiersi nelle aree comprese nei centri edificati, il criterio della commisurazione dell'indennità  al valore agricolo medio da calcolarsi in base alla coltura più redditizia [da individuarsi tra quelle che, nella regione agraria di riferimento, coprivano una superficie superiore al 5 per cento di quella coltivata della regione agraria stessa].

Come noto il valore sopra determinato andava poi moltiplicato per dei coefficienti che variavano in base alla popolazione dei comuni interessati.

Il superamento del criterio del valore venale, in allora, trovava una giustificazione nella concezione dello ius aedificandi come diritto non naturalmente connesso alla proprietà  immobiliare.

In altre parole, il diritto spettava alla P.A. non a caso secondo la terminologia usata dal legislatore, non si parlava di diritto ma bensì di concessione.  Al privato non era consentito di lucrare grazie all'espropriazione.

Va in ultimo ricordato che l'articolo 21 della legge n. 10/1977 aveva previsto che l'espressione licenza edilizia contenuta nella legge n. 1150/1942 (c.d. legge urbanistica) fosse sostituita dall'espressione concessione.

La Corte costituzionale con sentenza 30.1.1980, n. 5, in contrasto con il dettato della normativa sopra richiamata intervenne affermando che il diritto di edificare continua ad inerire alla proprietà.

Ne conseguiva che la concessione a edificare non era attributiva di diritti nuovi ma presupponeva facoltà  preesistenti. La concessione aveva quindi il solo scopo di accertare la ricorrenza delle condizioni previste dall'ordinamento per l'esercizio del diritto a edificare.

La Corte Costituzionale  stabili quindi che il criterio del valore agricolo medio dei terreni secondo i tipi di coltura praticati nella regione agraria interessata, adottato per la determinazione dell'indennità di esproprio dall'art. 16 della legge n. 865/1971, come modificato dall'art. 14 della legge n. 10/1977, non facendo specifico riferimento al bene da espropriare ed al valore di esso secondo la sua destinazione economica, introduceva un elemento di valutazione del tutto astratto, che portava inevitabilmente, per i terreni destinati ad insediamenti edilizi che non hanno alcuna relazione con le colture praticate nella zona, alla liquidazione di indennizzi sperequati rispetto al valore dell'area da espropriare, con palese violazione del diritto a quell'adeguato ristoro che la norma costituzionale assicura all'espropriato.

La Corte Costituzionale dichiarò quindi l'illegittimità costituzionale dell'art. 1 6, 5', 6' e 7' comma della legge n, 865/1971 (come modificata dall'art. 14 della legge n. 10/1977), nella parte in cui stabiliva che l'indennità  di espropriazione dei suoli a destinazione edificatoria doveva essere commisurata al valore agricolo.

Superato un breve periodo contraddistinto dall'intervento della cosiddetta legge tampone del 29.7,1980, n. 385 [subito caducata dalla Corte Costituzionale], il legislatore, sempre nell'intento di limitare l'entità dell'indennizzo dovuto,  intervenuto nuovamente sulla materia nel 1992 dettando una disciplina che ha imposto i propri criteri per circa quindici anni, venendo poi, almeno inizialmente, recepita nel vigente T.U. sulle espropriazioni.

Con l'art. 5 bis del decreto-legge 11.7.1992, n. 333, convertito nella legge 8.8,1992, n. 359  furono infatti introdotti i nuovi criteri di determinazione dell'indennità di espropriazione.

Secondo tale disposizione, l'indennità spettante per l'espropriazione di aree edificabili andava calcolata in misura pari al risultato derivante dalla media tra il valore venale del bene e il reddito dominicale rivalutato dell'ultimo decennio. In altri termini, occorreva sommare il valore venale ed il reddito dominicale (rivalutato) e poi dividere il risultato per due. La media andava infine decurtata del 40 per cento.

La formulazione originale del vigente D.P.R. 8-6-2001 n. 327 [Testo Unico] all'art. 37, 1 comma, prevedeva che l'indennità  di espropriazione di un'area edificabile fosse determinata nella misura pari all'importo, diviso per due e ridotto nella misura del 40%, pari alla somma del valore venale del bene e del reddito dominicale netto, rivalutato ai sensi degli articoli 24 e segg. del d.p.r. n. 917/1986 (Testo Unico delle imposte sui redditi), e moltiplicato per 10.

Si trattava, in pratica, di una riformulazione solo formale che, nella sostanza, manteneva immutato il criterio mediato già  introdotto dall'art. 5 bis del decreto legge n. 333/1992, che veniva dunque recepito nel T.U.

Il 2° comma dell'art. 37 del T.U. (sempre nella sua formulazione originaria), confermava che la riduzione del 40% non si applicava qualora fosse stato concluso l'accordo di cessione.

La Corte Costituzionale con la sentenza del 24.10.2007, n. 348 è giunta a dichiarare  l'illegittimità costituzionale della previgente disciplina.

La questione, così come sollevata dalla Suprema Corte (Cass., ordinanza 29.5.2006, n, 12810 e Cass., ordinanza 19.10.2006, n. 22357), si incentrava sul presunto contrasto tra la norma censurata (art. 5 bis) e l'art. 1 del primo Protocollo della C.E.D.U. [Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali]

Ai sensi dell'art. 27 della legge n. 87 del 1953, la sentenza n. 348/2007 della Corte Costituzionale ha altresì dichiarato l'illegittimità  costituzionale, in via consequenziale, del 1° e 2° comma dell'art. 37 del d.p.r. n. 327/2001, che riproducevano norme identiche a quelle contenute nell'art. 5 bis del decreto legge n° 333/1992.

Il legislatore, in questo caso, è però subito intervenuto.

L'art. 2, 89° comma della legge 24.12,2007, n. 244 (finanziaria 2008) ha infatti provveduto a sostituire il 1° e 2° comma dell'art. 37 del T.U.

Il primo dei due commi citati prevede ora che l'indennità  di espropriazione di un'area edificabile è determinata nella misura pari al valore venale del bene.

Questo criterio di stima non ammette riduzioni rispetto al valore venale integrale se si tratta dei c.d. espropri isolati.

In piena adesione alla motivazione della sentenza n. 348/2007 della Corte Costituzionale, si è tuttavia previsto che quando l'espropriazione è finalizzata ad attuare interventi di riforma economico-sociale, l'indennità  è ridotta del 25%.

In oggi, l'articolo 21 del D.P.R. 8-6-2001 n. 327 [Testo Unico] stabilisce che l'autorità  espropriante deve formare l'elenco dei proprietari che non hanno concordato la determinazione della indennità  di espropriazione.

Se manca l'accordo sulla determinazione dell'indennità  di espropriazione, l'autorità  espropriante deve invitare il proprietario interessato, con atto notificato a mezzo di ufficiale giudiziario, a comunicare entro i successivi venti giorni se intenda avvalersi, per la determinazione dell'indennità, del procedimento previsto dai successivi commi del medesimo articolo [terna tecnica] e quindi,  in caso affermativo, invita il proprietario a designare un tecnico di propria fiducia.

Nel caso di comunicazione positiva del proprietario, l'autorità  espropriante deve nominare due tecnici, tra cui quello eventualmente già designato dal proprietario, e fissa il termine entro il quale va presentata la relazione da cui si evinca la stima del bene.

Il presidente del tribunale civile, nella cui circoscrizione si trova il bene da stimare, nomina il terzo tecnico, su istanza di chi vi abbia interesse. Il presidente del tribunale civile sceglie il terzo tecnico tra i professori universitari, anche associati, di estimo, ovvero tra coloro che risultano inseriti nell'albo dei periti o dei consulenti tecnici del tribunale civile nella cui circoscrizione si trova il bene.

Le spese per la nomina dei tecnici sono affrontate nel seguente modo:

a) sono liquidate dall'autorità  espropriante, in base alle tariffe professionali;

b) sono poste a carico del proprietario se la stima è inferiore alla somma determinata in via provvisoria, sono divise per metà  tra il beneficiario dell'esproprio e l'espropriato se la differenza con la somma determinata in via provvisoria non supera in aumento il decimo e, negli altri casi, sono poste a carico del beneficiario dell'esproprio.

La relazione dei tecnici deve essere depositata presso l'autorità  espropriante, che ne da notizia agli interessati mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento, avvertendoli che possono prenderne visione ed estrarne copia entro i successivi trenta giorni.

In caso di dissenso di uno dei tecnici, le legge prevede che la relazione sia adottata a maggioranza.  

Ove il proprietario del terreno accetti in modo espresso l'indennità  risultante dalla relazione, l'autorità  espropriante autorizza il pagamento o il deposito della eventuale parte di indennità  non depositata.

Ove non sia stata manifestata accettazione espressa entro trenta giorni dalla scadenza del termine di cui al comma 10, l'autorità  espropriante deve ordinare il deposito presso la Cassa depositi e prestiti dell'eventuale maggior importo della indennità.

Il proprietario ha il diritto di chiedere che la somma depositata o da depositare sia impiegata in titoli del debito pubblico.

Il nostro Gruppo grazie alla trentennale esperienza dei nostri tecnici [autori di oltre 9.000 pagine di dottrina estimativa, nonchè docenti per le migliori Scuole di Studi di Pubblica Amministrazione] è in grado di aiutare qualsiasi soggetto privato, tecnico o Ente pubblico nel dimensionare giuridicamente e tecnicamente qualsiasi importo inerente la determinazione dell'indennità di occupazione o dell'indennità di espropriazione.





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