NEWSLETTER N°47 ESPROPRIAZIONI, il calcolo dell’ indennità di occupazione e di espropriazione.
[01-06-2013]
NEWSLETTER N°47 ESPROPRIAZIONI, il calcolo dell’ indennità di
occupazione e di espropriazione. Prime riflessioni
La determinazione della misura o del quantum dell'indennità
di espropriazione assieme all'istituto pretorio dell'occupazione acquisitiva è
uno degli aspetti più tormentati e controversi della materia espropriativa.
Un lunghissimo percorso legislativo ha solo di recente
trovato una definitiva conclusione nel quadro normativo disegnato e imposto dal
vigente Testo Unico.
La legge n. 2359/1865 prevedeva che l'indennità fosse
commisurata al “giusto prezzo”, ossia al valore che, secondo i tecnici,
l'immobile avrebbe potuto avere nel contesto di una libera contrattazione di
compravendita (c.d. valore venale o valore di mercato o valore in comune
commercio). La legge perseguiva la massima soddisfazione possibile concessa all'espropriato
per la perdita del diritto di proprietà.
Parallelamente
occorre evidenziare che anche l'articolo 834 del codice civile, in relazione
all'espropriazione per pubblica utilità, parla di “giusta indennità”.
Negli
anni successivi alcune leggi speciali hanno derogato al valore di mercato del
bene. Tra queste occorre ricordare la legge sul risanamento della città di
Napoli (legge n. 2892/1885) approvata, come noto, in seguito all'epidemia di
colera verificatasi nell'anno 1884.
L'articolo
13 di questa legge stabiliva e introduceva un nuovo criterio di calcolo, ovvero
la media tra il valore venale e il coacervo dei fitti dell'ultimo decennio
risultanti da atti aventi data certa [trattasi di una metodologia di calcolo
meno vantaggiosa rispetto al valore venale].
Il
quadro legislativo che ha, di recente, maggiormente inciso sul procedimento
espropriativo è senza alcun dubbio la legge per la casa [legge n. 865/1971,
modificata e integrata dalla legge n. 10/1977].
La
legge per la casa impose, per le procedure ablative da compiersi nelle aree
comprese nei centri edificati, il criterio della commisurazione dell'indennità
al “valore agricolo medio” da calcolarsi in base alla “coltura più redditizia”
[da individuarsi tra quelle che, nella regione agraria di riferimento,
coprivano una superficie superiore al 5 per cento di quella coltivata della
regione agraria stessa].
Come
noto il valore sopradeterminato andava poi moltiplicato per dei coefficienti
che variavano in base alla popolazione dei comuni interessati.
Il
superamento del criterio del valore venale, in allora, trovava una
giustificazione nella concezione dello ius aedificandi come
diritto non naturalmente connesso alla proprietà immobiliare.
In
altre parole, il diritto spettava alla P.A. non a caso secondo la terminologia
usata dal legislatore, non si parlava di diritto ma bensì di “concessione”. Al
privato non era consentito di lucrare grazie all'espropriazione.
Va
in ultimo ricordato che l'articolo 21 della legge n. 10/1977 aveva previsto che
l'espressione “licenza edilizia” contenuta nella legge n. 1150/1942 (c.d. legge
urbanistica) fosse sostituita dall'espressione “concessione”.
La
Corte costituzionale con sentenza 30.1.1980, n. 5, in contrasto con il dettato
della normativa sopra richiamata intervenì affermando che “il diritto di
edificare continua ad inerire alla proprietà”.
Ne
conseguiva che la concessione a edificare non era attributiva di diritti nuovi
ma presupponeva facoltà preesistenti. La concessione aveva quindi il solo scopo
di accertare la ricorrenza delle condizioni previste dall'ordinamento per
l'esercizio del diritto a edificare.
La
Corte Costituzionale stabili quindi che il criterio del valore
agricolo medio dei terreni secondo i tipi di coltura praticati nella regione
agraria interessata, adottato per la determinazione dell'indennità di
esproprio dall'art. 16 della legge n. 865/1971, come modificato dall'art. 14
della legge n. 10/1977, non facendo specifico riferimento al bene da
espropriare ed al valore di esso secondo la sua destinazione economica,
introduceva un elemento di valutazione del tutto astratto, che portava inevitabilmente,
per í terreni destinati ad insediamenti edilizi che non hanno alcuna relazione
con le colture praticate nella zona, alla liquidazione di indennizzi
sperequati rispetto al valore dell'area da espropriare, con palese violazione
del diritto a quell'adeguato ristoro che la norma costituzionale assicura
all'espropriato.
La
Corte Costituzionale dichiarò quindi l'illegittimità costituzionale dell'art. 1 6,
5°, 6' e 7° comma della legge n, 865/1971 (come modificata dall'art. 14 della
legge n. 10/1977), nella parte in cui stabiliva che l'indennità di
espropriazione dei suoli a destinazione edificatoria doveva essere commisurata
al valore agricolo.
Superato un breve periodo
contraddistinto dall’intervento della cosiddetta legge tampone del 29.7,1980, n. 385 [subito caducata dalla
Corte Costituzionale], il legislatore, sempre nell'intento di limitare l'entità
dell'indennizzo dovuto, è intervenuto nuovamente sulla materia nel 1992
dettando una disciplina che ha imposto i propri criteri per circa quindici
anni, venendo poi, almeno inizialmente, recepita nel vigente T.U. sulle
espropriazioni.
Con
l'art. 5 bis del decreto-legge 11.7.1992, n. 333, convertito nella legge
8.8,1992, n. 359 furono infatti introdotti i nuovi criteri di
determinazione dell'indennità di espropriazione.
Secondo
tale disposizione, l'indennità spettante per l'espropriazione di aree
edificabili andava calcolata in misura pari al risultato derivante dalla media
tra il valore venale del bene e il reddito dominicale rivalutato dell'ultimo
decennio. In altri termini, occorreva sommare il valore venale ed il reddito
dominicale (rivalutato) e poi dividere il risultato per due. La media andava
infine decurtata del 40 per cento.
La
formulazione originale del vigente D.P.R. 8-6-2001 n. 327 [Testo Unico]
all'art. 37, 1° comma, prevedeva che l'indennità di espropriazione di un'area
edificabile fosse determinata nella misura pari all'importo, diviso per due e
ridotto nella misura del 40%, pari alla somma del valore venale del bene e del
reddito dominicale netto, rivalutato ai sensi degli articoli 24 e segg. del
d.p.r. n. 917/1986 (Testo Unico delle imposte sui redditi), e moltiplicato per
10.
Si
trattava, in pratica, di una riformulazione solo formale che, nella sostanza,
manteneva immutato il criterio mediato già introdotto dall'art. 5 bis del
decreto legge n. 333/1992, che veniva dunque recepito nel T.U.
Il
2° comma dell'art. 37 del T.U. (sempre nella sua formulazione originaria),
confermava che la riduzione del 40% non si applicava qualora fosse stato
concluso l'accordo di cessione.
La
Corte Costituzionale con la sentenza del 24.10.2007, n. 348 è giunta a
dichiarare l'illegittimità costituzionale della previgente
disciplina.
La
questione, così come sollevata dalla Suprema Corte (Cass., ordinanza 29.5.2006,
n, 12810 e Cass., ordinanza 19.10.2006, n. 22357), si incentrava sul presunto
contrasto tra la norma censurata (art. 5 bis) e l'art. 1 del primo Protocollo
della C.E.D.U. [Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e
delle libertà fondamentali]
Ai
sensi dell'art. 27 della legge n. 87 del 1953, la sentenza n. 348/2007 della
Corte Costituzionale ha altresì dichiarato l'illegittimità costituzionale, in
via consequenziale, del 1° e 2° comma dell'art. 37 del d.p.r. n. 327/2001, che
riproducevano norme identiche a quelle contenute nell'art. 5 bis del decreto
legge n° 333/1992.
Il
legislatore, in questo caso, è però subito intervenuto.
L'art.
2, 89° comma della legge 24.12,2007, n. 244 (finanziaria 2008) ha infatti
provveduto a sostituire il 1° e 2° comma dell'art. 37 del T.U.
Il
primo dei due commi citati prevede ora che l'indennità di espropriazione di
un'area edificabile è determinata nella misura pari al valore venale del bene.
Questo
criterio di stima non ammette riduzioni rispetto al valore venale integrale se
si tratta dei c.d. espropri isolati.
In
piena adesione alla motivazione della sentenza n. 348/2007 della Corte
Costituzionale, si è tuttavia previsto che quando l'espropriazione è finalizzata
ad attuare interventi di riforma economico-sociale, l'indennità è ridotta del
25%.
In
oggi, l’articolo 21 del D.P.R. 8-6-2001 n. 327 [Testo Unico] stabilisce che l'autorità
espropriante deve formare l'elenco dei proprietari che non hanno concordato la
determinazione della indennità di espropriazione.
Se manca l'accordo sulla determinazione
dell'indennità di espropriazione, l'autorità espropriante deve invitare il
proprietario interessato, con atto notificato a mezzo di ufficiale giudiziario,
a comunicare entro i successivi venti giorni se intenda avvalersi, per la
determinazione dell'indennità, del procedimento previsto dai successivi commi
del medesimo articolo [terna tecnica] e quindi, in caso affermativo, invita
il proprietario a designare un tecnico di propria fiducia.
Nel caso di comunicazione positiva del
proprietario, l'autorità espropriante deve nominare due tecnici, tra cui quello
eventualmente già designato dal proprietario, e fissa il termine entro il quale
va presentata la relazione da cui si evinca la stima del bene.
Il presidente del tribunale civile,
nella cui circoscrizione si trova il bene da stimare, nomina il terzo tecnico,
su istanza di chi vi abbia interesse. Il presidente del tribunale civile
sceglie il terzo tecnico tra i professori universitari, anche associati, di
estimo, ovvero tra coloro che risultano inseriti nell'albo dei periti o dei
consulenti tecnici del tribunale civile nella cui circoscrizione si trova il
bene.
Le spese per la nomina dei tecnici sono
affrontate nel seguente modo:
a) sono liquidate dall'autorità
espropriante, in base alle tariffe professionali;
b) sono poste a carico del proprietario
se la stima è inferiore alla somma determinata in via provvisoria, sono divise
per metà tra il beneficiario dell'esproprio e l'espropriato se la differenza
con la somma determinata in via provvisoria non supera in aumento il decimo e,
negli altri casi, sono poste a carico del beneficiario dell'esproprio.
La relazione dei tecnici deve essere
depositata presso l'autorità espropriante, che ne dà notizia agli interessati
mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento, avvertendoli che
possono prenderne visione ed estrarne copia entro i successivi trenta giorni.
In caso di dissenso di uno dei tecnici,
le legge prevede che la relazione sia adottata a maggioranza.
Ove il proprietario del terreno accetti
in modo espresso l'indennità risultante dalla relazione, l'autorità
espropriante autorizza il pagamento o il deposito della eventuale parte di
indennità non depositata.
Ove non sia stata manifestata
accettazione espressa entro trenta giorni dalla scadenza del termine di cui al
comma 10, l'autorità espropriante deve ordinare il deposito presso la Cassa
depositi e prestiti dell'eventuale maggior importo della indennità.
Il proprietario ha il diritto di
chiedere che la somma depositata o da depositare sia impiegata in titoli del
debito pubblico.
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